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Rappresentazione
teatrale “ Le Partigiane nella
Resistenza” 20 marzo 2015
Teatro
del Grillo di Soverato
Introduzione
a
cura di Lilly Rosso Presidente BDS
Per molti anni la
partecipazione delle donne alla Resistenza è stata relegata
non solo nel silenzio quanto e soprattutto in un ruolo da
comprimarie, del tutto secondario e accessorio rispetto al ruolo
“fondamentale” svolto dagli uomini. Oggi, ricorderemo
assieme le tante scelte semplicemente coraggiose e i tanti esempi di
normalità della Resistenza.
Mentre la guerra si
prolungava oltre l’immaginabile e si inviavano ai diversi
fronti contingenti maschili di varie classi d’età, le
donne restavano l’unico perno dei nuclei familiari. L’assenza
di cibo, la mancanza di pane, i beni razionati con il tesseramento,
crearono presto vere reti di solidarietà.
La Liberazione è
stata non solo guerra ma impegno, solidarietà; era lotta per
sperimentare la democrazia, aiuto al lavoro delle persone care, dei
fuggiaschi, dei prigionieri in fuga, dei tanti che hanno subito gli
effetti della barbarie. Quasi, senza accorgersene, molte donne si
sono trovate coinvolte nelle faccende clandestine: portavano
medicinali ai feriti, messaggi in montagna, accompagnavano alla
frontiera dei ragazzi ebrei o li nascondevano nelle loro case e
ascoltavano di nascosto Radio Londra.
“Impararono così
il linguaggio della clandestinità, a passare inosservate, a
non fare discussioni in pubblico, a cambiare strada quando c’erano
degli assembramenti, a non rivolgere domande personali a quelli con
cui venivano in contatto, a dimenticare nomi e indirizzi ogni volta
che si portava a termine una missione, a disseminare stampa
clandestina, cucire mostrine e coccarde, a custodire bombe”.
Divennero delle
staffette e svolsero un servizio regolare di collegamento tra i Cln
territoriali e le formazioni che operavano in montagna.
Come per gli uomini,
anche per le donne non ci fu un solo modo di essere resistenti: ci
furono quelle più politicizzate, quelle che seguivano mariti,
fidanzati, fratelli, quelle che cercavano di essere emancipate fino a
portare armi e quelle che pensavano a una presenza come cittadine di
pieno diritto.
La famiglia è
l’ambiente sociale per eccellenza che predispone alla scelta di
combattere e dove sono veicolate le idee di emancipazione e
opposizione al regime.
La loro è una
scelta attraversata da dubbi e paure ma sono pronte a rispondere con
la violenza a chi quella violenza l’ha esercitata mille volte
di più.
Per le donne
combattere è un atto di estrema trasgressione perciò
sanno bene di dover rinunciare al ruolo di vittime.
La solitudine è
forse l’aspetto più caratteristico della lotta
partigiana.
Tutto ciò
carica sulle spalle delle donne responsabilità sempre maggiori
fino alla data cruciale per l’Italia: l’8 settembre 1943.
L’esercito rimasto senza ordini si sbanda, i tedeschi da
alleati sono diventati nemici e i soldati italiani cercano
istintivamente salvezza da quella che poi diventerà
deportazione di massa nei campi di concentramento tedeschi.
Un’illustre
storica italiana Anna Bravo ha parlato di maternage generale quasi
per allontanare da noi altri ruoli possibili.
Ancora una volta ci si
ritrova con “l’enfasi ininterrotta della maternità
come valore e come servizio principale che le donne devono rendere
allo Stato e alle Nazioni”.
Le partigiane però
non sono figure retoriche ricalcate sulla rappresentazione delle
eroine risorgimentali; sono le eroine della sopravvivenza.
Dal ’43 le donne
diventano fondamentali e sono “il cuore della più grande
operazione di travestimento e salvataggio della storia italiana”.
Un’attività che comincia spontaneamente e continuerà
nei lunghi mesi fino al 45 in forme via via più consapevoli,
con scelte sempre più rischiose. Una strada che porta molte a
diventare partigiane.
Si colloca in questa
situazione la nascita dei Gruppi di Difesa della Donna e per
l’Assistenza ai Combattenti della Libertà nel novembre
del 1943. Si può dire che i GDD sono la prima organizzazione
di lotta non violenta, la cui azione contribuisce a diffondere quel
tessuto di resistenza civile entro cui cresce la Resistenza armata,
la lotta di Liberazione italiana. I loro gesti,le loro azioni,ben più
delle parole, segnano una visibilità inedita, esprimono idee,
convinzioni, personalità che vanno ben oltre le immagini
tradizionali.
A settant’anni
di distanza questa storia ancora ci parla con la voce delle ragazze
di allora e racconta che la loro è una battaglia etica prima
che militare.
Le narrazioni che
ascolteremo forniranno un’utile occasione di riflessione anche
a chi sa o crede di sapere tutto di un passato che non abbiamo
vissuto e che oggi proveremo a rielaborare assieme.
Sentirete parlare,
come ancora oggi accade nei paesi in guerra o nella quotidianità
della vita, di donne violentate.
Devo dirvi che a fine
guerra la maggior parte delle istruttorie si chiuse con un non luogo
a procedere a causa delle notizie generiche raccolte e della mancanza
di elementi sufficienti a identificare i responsabili.
La violenza carnale
venne considerata secondaria.
“La parola
stupro non fu mai pronunciata, non fu considerato un crimine a sé
ma mera componente della violenza di guerra contro i civili, sebbene
non grave come i rastrellamenti, le stragi e i saccheggi. Il capo di
sevizie particolarmente efferate non fu mai pronunciato.
La pensione di guerra
fu data solo alle vittime che avessero contratto una qualche forma di
malattia venerea e quindi potessero dimostrare la violenza subita.
Ci troviamo alle prese
con una memoria discolpante e assolutoria.
Ricominciare a vivere
non fu un’operazione facile ma l’insurrezione armata non
segnò affatto la fine bensì l’inizio di un
percorso di mutamento nelle relazioni tra i sessi e di rivendicazione
di un proprio spazio di visibilità e di autonomia nella sfera
pubblica.
La militanza politica
si prolungò infatti nell’inserimento nella vita
associativa femminile del dopoguerra, partitica, sindacale o di
genere”.
Come Biblioteca
abbiamo accolto con entusiasmo l’invito del Presidente
dell’Anpi e abbiamo messo assieme le nostre energie per portare
sotto i riflettori una verità storica importante
reinterpretata con lo sguardo di donna.
La rappresentazione
teatrale si rifà a tre testi:
1) Io sono
l’ultimo. Lettere di partigiani italiani pubblicato nel
2012 da Einaudi.( Come si legge nella prefazione, le testimonianze
sono state sottoposte al lavoro di editing formale e l’Anpi,diversi
studiosi, Istituti storici , Associazioni e giornalisti si sono
attivati per documentare le storie nel miglior modo possibile)
2)Libere sempre.
Una ragazza della Resistenza a una ragazza di oggi di Marisa
Ombra Ed. Einaudi 2012( M. Ombra, ex partigiana, attiva nei Gruppi di
difesa della donna, è stata dirigente dell’UDI e
presidente della Cooperativa Libera Stampa editrice del settimanale
“Noi donne”. M Ombra ha organizzato l’archivio
nazionale delle donne Nel 2006 è stata nominata Grande
Ufficiale della Repubblica. E’ vicepresidente nazionale
dell’Anpi.( L’autrice scrive una lunga lettera a una
ragazza dei nostri giorni e racconta la guerra partigiana, la propria
anoressia, i rapporti tra ragazzi e ragazze in montagna ….)
3) Chicchi, la
ragazza della mimosa Ed. Marco Del Bucchia ( lavoro teatrale che
dà voce a Teresa Mattei)
La Biblioteca delle
Donne ha collaborato alla scelta dei testi e alla riduzione dei brani
per il teatro.
Un grazie a Rosa
Filia, M. Grazia Riveruzzi e Marisa Rotiroti con le quali ho
condiviso anche questa straordinaria esperienza e le tante ore
trascorse con le/i giovani dell’Anpi in teatro o in biblioteca
a leggere e rivedere documenti.
Grazie anche a Giusi
Santoro che sta svolgendo un tirocinio formativo presso la nostra
biblioteca e ci è stata di aiuto in vari modi.
Un riconoscente grazie
al Teatro del Grillo, in particolare a Claudio Rombolà che
generosamente ha messo a nostra disposizione gli ambienti per le
prove e non ci ha fatto mancare i suoi preziosi suggerimenti.
La gratitudine di noi
tutte per il videomessaggio inviato da Marisa Ombra alle classi
presenti.
Hanno partecipato al
1° turno 4 classi della Scuola Media Ugo Foscolo.
Al 2° turno 1
classe del Liceo Scientifico Guarasci, 1 III media dei Salesiani, 1
classe del Liceo delle Scienze Umane e una rappresentanza dell’ITG
Malafarina.
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